I racconti sono stati composti effettivamente in ordine cronologico in tale lasso di tempo, e c’è un filo che li lega, sviluppato in modi differenti, che gira intorno alle diffuse sensazioni di malessere che i singoli individui si trovano sempre più frequentemente a provare all’interno dei rispettivi contesti sociali.
Provo a spiegarmi meglio.
Un tratto comune che si sta evidenziando con il trascorrere del tempo, ed ha assunto un andamento esponenziale, aiutato in questo dalla recentissima e repentina rivoluzione digitale, è la difficoltà crescente che ognuno di noi incontra per orientarsi in un mondo che cambia continuamente i suoi riferimenti: cose scontate fino a ieri, improvvisamente perdono ogni importanza, sostituite da nuovi contenuti che hanno vita sempre più breve, in una rincorsa senza fine giustificata come progresso, ma che, a ben guardare, invece di fornire risposte ai bisogni profondi dell’umanità, crea solo nuove esigenze, le quali spesso allontanano molto più che avvicinare da quelle risposte. E in tutto questo l’individuo (anche se ci viene assicurato proprio il contrario) conta sempre di meno: si trova spesso solo, davanti a un mondo che, grazie all’apparente infinita diffusione di ogni notizia, crede di poter più facilmente interpretare, quando in realtà il frastuono di fondo rende lo sforzo di capire sempre più difficile, perché ogni notizia, per poter essere compresa, e quindi utile, deve essere filtrata da una conoscenza profonda che è sempre più arduo reperire in mezzo alla confusione del “tempo reale”.
In questo caos organizzato, le cosiddette classi dirigenti si sono staccate definitivamente da chi dovrebbero dirigere, il rispetto delle parti è andato in frantumi, e il “potere” sotto qualunque forma, anche le più risibili, diventa fine a se stesso, scollandosi dall’unico suo presupposto etico, quello della responsabilità, e togliendo ai singoli gli strumenti per la critica e per la conseguente eventuale opposizione, proprio nel momento in cui sembra che tutto sia invece “trasparente” e alla portata della comprensione di ognuno di noi.
Non sappiamo dove ci porterà tutto questo. Ma un segnale di speranza alla fine ci vuole: forse si troverà nel recuperare l’essenza delle cose, valorizzare gli istinti più gentili; o nell’affidarci alla madre Natura, che con il suo olimpico distacco saprà ancora una volta trovare la soluzione.
Ma la Natura, per sua legge costitutiva, non può preoccuparsi troppo delle sofferenze individuali.
Per quelle, ci vogliono altre cose.
Magari, cominciando da una buona lettura…
Alberto Arnaudo