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I percorsi brevi in chirurgia (day surgery, ambulatoriale, fast trak surgery) hanno cambiato radicalmente il rapporto tra utente e ospedale.
Il denominatore comune di questi profili di cura è che il paziente riduce la permanenza in ospedale allo stretto indispensabile, di conseguenza, rispetto a un tempo, i giorni di degenza risultano drasticamente abbattuti.

Il cambiamento è iniziato da un paio di decenni e all’inizio ha riguardato esclusivamente il periodo pre-intervento: non più ricovero, esami, valutazioni specialistiche del caso e quindi atto chirurgico, bensì accesso in ospedale solo dopo aver svolto tutti gli accertamenti necessari ai fini dell’operazione.

Questa prima fase di cambiamento ha avuto un notevole impatto organizzativo per l’Azienda, ma nessuna rilevanza clinica per l’assistito, dunque è stato vissuto da quest’ultimo come fatto positivo e non percepito come un taglio delle prestazioni.

Nel frattempo i progressi delle tecniche chirurgiche, sempre più mini invasive, l’evoluzione dei materiali, delle metodiche anestesiologiche, l’affermarsi della cultura che il dolore non è un dazio da pagare per forza dopo un’operazione, ma al contrario, va evitato per il benessere del paziente ed è evitabile con pochi e semplici accorgimenti terapeutici, hanno fatto si che, al ricovero preoperatorio ritardato il più possibile, si aggiungesse la dimissione post-intervento effettuata il prima possibile.

Questo ulteriore passaggio, come è facilmente intuibile, oltre a prevedere variazioni organizzative per la struttura che eroga il servizio, ha un’importante valenza clinica percepita dal paziente, ed è fonte di dubbi e preoccupazioni.
I media, complici le istituzioni, hanno fatto si che la dimissione precoce fosse vista esclusivamente come strumento di efficienza: bisogna risparmiare soldi, dunque si spediscono i malati a casa il prima possibile.

Ritengo che in Sanità, come in molti altri settori dei servizi, sia corretto parlare prima di efficacia (fare ciò che serve) e poi di efficienza (farlo al meglio risparmiando).
Stare il meno possibile in ospedale prima di tutto serve al malato (efficacia) poi serve a risparmiare, ma solo se la dimissione precoce è soprattutto protetta.

Interventi brevi

Perché è bene che il paziente rimanga il meno possibile ricoverato dopo un intervento chirurgico?

Le ragioni sono molteplici, non essendo questa la sede per una disamina clinica approfondita mi limito a elencare le principali.
Il malato operato è fragile di per sé, in quanto lo si è sottoposto ad un atto invasivo. Di conseguenza è predisposto alle infezioni nosocomiali; più si ferma più il rischio cresce. Ha maggior possibilità di infezioni del sito chirurgico. In caso di anziani è altissimo il rischio di disorientamento tempo-spaziale importante e spesso irreversibile. In caso di disabili fisici e/o psichici le possibilità di scompenso sono notevoli. Comunque anche in chi non appartiene alle suddette categorie la permanenza non giova in termini di corretta ripresa: alimentazione, consuetudini igieniche, mobilizzazione. In conclusione tutti stanno meglio a casa propria sulla loro poltrona, con le loro abitudini a condizione che… la dimissione sia protetta.

Dimissione protetta

E’ come essere ricoverati stando al proprio domicilio. Con tale accorgimento si è efficaci ed efficienti; senza, invece, non si è né l’uno, né l’altro, si aumentano i rischi per i pazienti e i costi per il sistema sanitario s’impennano. Inviare a domicilio un paziente senza l’egida della dimissione protetta significa costringerlo verosimilmente a rivolgersi al curante, alla guardia medica, al pronto soccorso con grandi disagi per lui e costi per il sistema. Dimissione protetta, per contro, significa: corretta informazione sul percorso clinico assistenziale, sin dal momento della prima visita. E’ importante che l’utente comprenda le tappe del processo cui va incontro. Sarà cura del medico spiegare con linguaggio appropriato, capire che il cliente ha capito, discernere i soggetti idonei da quelli meno e da altri che presentano controindicazioni assolute alla dimissione precoce seppur protetta. Nella regione Piemonte è ammesso il pernottamento per la day surgery, di fatto, le controindicazioni assolute ad accedere a questo profilo di cura sono rare. L’operatore dovrà tenere conto certamente della situazione clinica del paziente per valutarne la dimissibilità in serata o la necessità di usufruire del pernottamento, ma non dovrà trascurare le condizioni sociali, ambientali, culturali del suo interlocutore.

Le regole

Una valida dimissione protetta inizia prima dell’accettazione. L’immediato periodo post-operatorio sarà dedicato sia alle solite incombenze clinico assistenziali, sia a verificare se permangono le condizioni per una dimissione precoce. Va da sé che il malato e chi lo assiste devono essere informati dell’evolversi della situazione. Valutato, previa analisi dei parametri clinici previsti dal protocollo, che il paziente può essere inviato a domicilio scatta la fase più delicata del percorso. Gli operatori sanitari (medici e infermieri) appositamente in tempi diversi, onde ripetere, ribadire, accertarsi del livello di comprensione del cliente, forniscono le istruzioni necessarie affinché la dimissione sia veramente protetta. Si comunicano al malato le indicazioni igienico alimentari da seguire, la terapia da assumere per il controllo del dolore, il reparto stesso fornisce il dosaggio necessario sino a che il paziente non è in grado di accedere ad una farmacia, le istruzioni per riprendere eventuali trattamenti sospesi per l’intervento. In particolare si raccomanda, in caso di necessità o ogni minimo dubbio, di non esitare a rivolgersi telefonicamente al reparto dove troverà il personale infermieristico pronto ad allertare il medico della day surgery reperibile. Il paziente deve avere la sensazione che l’ospedale l’abbia seguito a casa. Il paziente deve potersi giovare delle comodità domestiche percependo la sicurezza del reparto. Il paziente mai deve sentirsi solo, avvertire dubbi, essere incerto sul comportamento da tenere. Con la day surgery si deve andare a casa in tranquillità. E’ evidente come un percorso assistenziale che porta alla dimissione precoce e protetta necessiti di una particolare comunicazione tra paziente ed operatore sanitario. Comunicazione che dovrà essere continuamente una sintesi tra esigenze cliniche e aspetti socio-ambientali che il nostro cliente porta con sé: sapientemente e con giudizio il professionista dovrà sapere, in base al momento del percorso, privilegiare le prime rispetto ai secondi o viceversa. In questi anni si sono sviscerati a fondo gli aspetti clinici, scientifici, legali, organizzativi dei percorsi brevi in chirurgia, nulla si è detto e fatto su come la loro applicazione ha cambiato il rapporto medico/paziente e di conseguenza la comunicazione tra i due attori protagonisti del percorso. Personalmente mi sono posto il problema da tempo, di recente sono addivenuto a conclusioni che  prossimamente sottoporrò al vaglio di un momento formativo, onde verificarne la bontà con la speranza di arricchire le mie conoscenze in materia.

Domenico Clerico
Responsabile Day Surgery
A.O. S. Croce e Carle

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