SITO DI INFORMAZIONE SANITARIA

È il 1769 e sull’isola di Tahiti il capitano inglese James Cook, nei suoi appunti sulle usanze della popolazione locale, trascrive per la prima volta la parola “tattow” (poi tattoo).
Tracce questa antichissima pratica di decorazione del corpo risalgono, in un certo senso, all’origine dell’umanità: Otzi, vissuto circa 5300 anni fa, è il testimone più antico. Sul suo corpo, ottimamente conservato, ci sono moltissimi segni che si possono considerare veri e propri tatuaggi.
Anche presso gli Egizi e i Celti era diffusa l’usanza di tracciare simboli sulla pelle, mentre i Romani usavano il tatuaggio per “marchiare” criminali e condannati. Nel 787 d.C. fu Papa Adriano a proibirne l’uso, ma i crociati continuarono a tatuarsi la Croce di Gerusalemme: questo permetteva loro, in caso di morte in battaglia, di ricevere sepoltura secondo i riti cristiani.
Negli anni ’20 del 900, poi, si stima che fossero più di 300 le persone tatuate da capo a piedi assunte nei circhi come attrazioni per il pubblico.

Allargando lo sguardo oltre Europa dove, da marchio discriminatorio di minoranze etniche, marinai, veterani di guerra, spesso considerato anche indice di arretratezza e disordine mentale, è diventato simbolo di ribellione verso la società e la morale comune, in Paesi quali il Giappone e la Siberia il tatuaggio è stato sinonimo di appartenenza ad una certa famiglia (anche criminale o malavitosa per cui è un codice preciso e puntuale), per le popolazioni del deserto del Sahara, ma anche per gli Inuit del Polo, gli indigeni del Sud America, così come per le tribù di gran parte dell’Africa nera e del sud-est asiatico, l’arte del tatuaggio ha assunto una valenza magica, decorativa e di protezione che permane. Forse anche per questo, il tatuaggio vive oggi un momento di grande rinascita liberandosi, almeno un po’, dell’aura di pregiudizi che lo ha avvolto per secoli.

In Italia, è davvero tattoo-mania? Pare di sì: sono circa 7 milioni le persone tatuate, il 12,8% della popolazione. O almeno questa è la fotografia scattata dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) in un’indagine, ormai del 2015, su un campione di quasi 8000 persone rappresentativo della popolazione italiana dai dodici anni in su. I dati ci dicono ancora che sono più numerose le donne degli uomini, 13,8% contro 11,7, e il numero maggiore di tatuati riguarda la fascia d’età tra i 35 e i 44 anni (29,9%). Ciò che, però, ci dà l’idea di quanto sia un fenomeno interessante da osservare è la sua trasversalità. In altre parole, non c’è molta differenza tra Nord e Sud, tra chi lavora e chi no, o tra chi ha una laurea e chi non ce l’ha. L’Istat ha inserito, nel 2016, proprio il tatuaggio nell’elenco dei prodotti che compongono il cosiddetto “paniere”, cioè la gamma dei prodotti che ci dicono quali sono le abitudini di spesa e la gamma dei prodotti di consumo delle famiglie. Si tratta anche di un fenomeno in continua crescita, tanto che le richieste sono salite del 60% negli ultimi anni. Tracciare una sorta di demografia del tatuaggio è importante anche per indagare l’altra faccia della medaglia, quella fatta di centri non autorizzati, di inchiostri e strumenti non conformi alla normativa vigente e di disinformazione sull’argomento. Tutto ciò può costituire una rilevante fonte di rischio con ricadute sanitarie importanti. Secondo i dati dell’indagine, infatti, il 3,3% dei tatuati dichiara di aver avuto complicanze o reazioni: dolore, granulomi, ispessimento della pelle, reazioni allergiche, infezioni e pus. Ma il dato appare sottostimato, in parte proprio a causa di tutta l’attività fatta non alla luce del sole di cui sopra.

LA PAROLA AGLI ESPERTI

Partendo dal presupposto che un buon tatuatore dovrebbe chiedere al paziente se è un soggetto allergico, anche solo alle semplici tinture per capelli dove è la parafenilendiamina a dare reazione, dobbiamo però affidarci all’etica di chi sa e può trasformare il nostro corpo in una moderna tela dipinta.
La dott.ssa Sara Pellegrini, specialista in allergologia ed immunologia clinica, sottolinea però l’importanza di “essere informati sul fatto che, dopo un tatuaggio, possiamo manifestare diversi tipi di reazioni: una prima e più comune è quella di tipo irritativo, cioè un semplice eritema, un’altra di tipo allergico da contatto è caratterizzata, invece, da sintomi più severi come papule arrossate piene di siero, o vescicole, ed è associata a prurito, a volte tanto intenso da risultare insopportabile. In questo caso, siamo di fronte a un vero meccanismo allergico. Il granuloma – continua la dottoressa –  è un’altra possibile lesione che insorge dal contatto con un metallo. Da sapere, inoltre, che se si forma un danno di questo tipo, difficilmente la pelle tornerà liscia come prima. Inoltre, possiamo assistere a problemi di tipo infettivo e, non ultimo, il rischio di epatite è riscontrato in un numero crescente di soggetti”.

Quando un tatuaggio “scolorisce”, dove finisce la quantità di colore? È probabile che il tatuatore dica che non va da nessuna parte, ma forse non è esattamente così. Sembra, infatti, che come ogni altra sostanza immessa nel corpo, anche l’inchiostro interagisca con l’organismo, in un certo senso queste particelle “corrono” nel nostro corpo e alcuni studi rivelano che ci può essere correlazione tra tumori della pelle e tatuaggi.

Come si può conoscere la percentuale di metallo presente nei coloranti usati? “Sappiamo per certo che il rame e il cromo sono presenti nel blu e nel verde, nel bianco troviamo titanio e nel rosso, è il mercurio a dare i problemi maggiori, da ultimo nell’ocra e nel giallo è presente il cadmio. Anche il più comune e meno temuto nero contiene tracce di metalli, nello specifico l’ossido di ferro”.

Ogni tipo di inchiostro usato ha una scheda tecnica che deve essere comunicata all’ASL, tuttavia, la dott.ssa Pellegrini sottolinea che “queste schede sono parziali, restituiscono il dato di massima, come il tipo di colorante usato, dove è stato prodotto (dovrebbero avere tutti provenienza UE, ma spesso non è così), ma di fatto non è indicato il quantitativo dei metalli presenti”.

Il dott. Gozzoli specifica, per chi è più preparato in materia che “con magneti a basso campo (0,2 – 0,3 o 0,5 tesla), effetti collaterali non si verificano quasi mai, mentre con tesla più alti (da 3 in su) la probabilità aumenta”. Nella pratica, al paziente viene consegnato un questionario sul consenso informato. È prevista la domanda specifica sulla presenza o meno di tatuaggi sul corpo, nel caso il soggetto risponda affermativamente, il personale tecnico fa presente che durante la seduta è possibile si avverta un senso di bruciore, o addirittura una sensazione di gonfiore. Pertanto, prima dell’esame, si applica del ghiaccio per raffreddare la cute ed eventualmente si interrompe l’esecuzione della risonanza, si raffredda nuovamente la zona interessata e si ricomincia l’analisi.

Tutta questa procedura è necessaria per evitare non solo gli arrossamenti, ma anche vere e proprie ustioni di 1° grado. “Questo avviene perché i tatuaggi contengono ossido di ferro”, prosegue Gozzoli, “sul sito simplyphysics (http://www.simplyphysics.com/#), nella sezione “burns”, ovvero “bruciature, si possono vedere alcune fotografie”, ma sottolinea che dobbiamo tener presente che problemi di questo tipo possono insorgere anche nel caso di “campi magnetici variabili, cioè quelli che possono determinare correnti indotte. Qui entrano in gioco le figure dei tatuaggi: ad esempio, se ci sono dei cerchi, soprattutto quando non sono completi, tra le estremità si può creare una corrente e lì si genera “la scintilla””. Il paziente deve sapere anche che i tatuaggi potrebbero deteriorarsi, in un certo senso, perdere di definizione.

Tuttavia, l’accento va posto su come i risultati della risonanza possono essere inficiati.  A questo proposito, conclude Gozzoli, “se devo studiare la zona dove è presente il tatuaggio, potrei avere una distorsione della forma naturale della regione presa in considerazione, andando a rendere difficoltosa la lettura della “fotografia” e, conseguentemente, la diagnosi”.

Inoltre, nel foglietto rilasciato in molti studi di tattoo, i consigli sono per lo più indicazioni generiche e poco scientifiche, tanto che non è per nulla presa in considerazione la possibilità che ci siano le reazioni di cui abbiamo parlato. Sarebbe bene che venisse consigliato al cliente di rivolgersi sempre ad uno specialista qualora noti arrossamenti e percepisca sensazioni di prurito o fastidio. La tempestività è fondamentale per la buona riuscita della cura, a volte anche antibiotica.

Parlando di norme igienico-sanitarie, ma anche di diritto, in Italia non è ancora stata recepita la normativa Europea sui tatuaggi. Si applica, pertanto, un “codice del consumo” che protegge il consumatore ed attribuisce responsabilità al distributore ed all’importatore i quali devono garantire che il prodotto sia sicuro se utilizzato secondo le indicazioni fornite.
Insomma, un vuoto legislativo che le singole Regioni cercano di colmare con delle deliberazioni della Giunta Regionale (DGR). Nel 2016 la nostra regione ne ha emanata una, la n. 20-3738 del 27 luglio 2016, che ha disciplinato nuovi corsi di formazione per tutti gli operatori che già lavoravano nel settore o che intendevano intraprendere una nuova attività. La normativa ha stabilito percorsi differenziati a seconda dell’esperienza o di altri percorsi già acquisiti (es. estetiste). Questi corsi sono organizzati da agenzie formative accreditate presso la Regione Piemonte. Nella commissione d’esame deve essere presente un medico igienista del Servizio di Igiene e Sanità Pubblica (SISP). In provincia di Cuneo, a tutt’oggi sono stati organizzati corsi presso Agenzie con sede a Cuneo e Savigliano con due sessioni di esame (l’ultima a luglio 2018).

“Il SISP dell’ ASL CN1 – come riferisce il dott. Pierfederico Torchio – si occupa dei controlli presso i centri tatuaggio già dal 2003. Periodicamente, dunque, si effettuano dei sopralluoghi ispettivi mirati alla verifica delle condizioni igienico sanitarie delle attività svolte sul territorio. Contestualmente, vengono controllate le procedure e le apparecchiature utilizzate. Seguendo precise indicazioni regionali ogni anno si effettuano anche campionamenti di inchiostri”.

È uno specifico laboratorio ARPA, a Grugliasco, che effettua le analisi per tutte le ASL del Piemonte (oltre che per NAS, Dogane ed altri Organi Giudiziari). “Quando si verifica una non conformità, – continua Torchio – si procede con sequestri e denunce. Talvolta, il tatuatore che, acquistando in fiere, all’estero o tramite internet, si trovi in possesso di materiale che analizzato mostra la presenza negli inchiostri di ammine aromatiche cancerogene, è passibile di denuncia anche penale”.

Se, come detto, la domanda aumenta, l’offerta deve essere in grado di soddisfarla. Ed è così che il mestiere di tatuatore è in forte crescita muovendo un giro d’affari importante (le statistiche parlano di 100 milioni di euro per 30 mila aziende che lavorano in sicurezza, tralasciando quindi il sottobosco degli abusivi). Ma ci pensiamo mai a cosa significa stare dall’altra parte?
Il tatuatore, oltre che esser l’artista a cui si affida il proprio corpo nella speranza che ne restituisca

un’opera d’arte, è anche un consigliere, un confidente, un interprete o addirittura un chiaroveggente. Dubbi, domande, suppliche, idee confuse o del tutto assenti, richieste criptiche, particolari, a volte incredibili: questo è quanto l’autore di “Vorrei un tatuaggio. Cronache semiserie dai migliori tattoo shop d’Italia” ha sentito e registrato nei tanti laboratori visitati. Se siete tra quelli che “vorrebbero, ma non osano”, fatevi due risate immedesimandovi nel ruolo del professionista. Buona lettura.

                                                                                                                                                            Luisa Perona

  • - Articoli Consigliati -