Una novella di Mario Soldati ricorda che mentre il povero, l’indigente passando davanti all’entrata di una banca può dire in maniera irrispettosa “io di te non avrò mai bisogno”, nessuna persona passando davanti ad un Pronto soccorso può dire altrettanto. Augurando ai lettori del presente articolo che non ne abbiano mai bisogno, descrivo le modalità ed il razionale che sottostà alla accettazione delle persone che si rivolgono ai nostri pronto soccorso.
Tali modalità sono condivise con la maggior parte dei Pronto soccorso italiani e anche a livello internazionale, ma soprattutto sono fondate su precise prese di posizione in tal senso da parte dello stato italiano (atti legislativi) e conseguentemente della Regione Piemonte.

Prima i più gravi
Da ormai molti anni si è compreso che, indipendentemente dalle modalità di accesso, è fondamentale che i pazienti più gravi vengano valutati e conseguentemente trattati prima di altri con problematiche meno urgenti. La cosa potrà sembrare ovvia, ma non più di una ventina di anni fa i pazienti venivano visti, salvo casi eclatanti, in ordine di arrivo. La distinzione, in ragione della gravità potenziale di una situazione, è detta triage. Il triage è un criterio che discende dalla pratica militare e risale ancora alle guerre napoleoniche (da cui il termine francese), allora tentava di distinguere la gravità dei feriti in battaglia.
Facile capire la condizione di emergenza per esempio di una emorragia importante, molto meno facile in caso di sintomatologia subdola che, anche col paziente ancora in buone condizioni, può improvvisamente precipitare, basti pensare alla “rottura” di un grosso vaso arterioso.
L’arrivo in Pronto
Quando una persona arriva in pronto soccorso, si rivolge (a seconda delle situazioni facendo precedere una rapida accettazione anagrafica “informatica”) ad una infermiera, questa professionista, attraverso un colloquio preventivamente strutturato e la rilevazione di alcuni parametri, stabilisce un codice di priorità.
La “strutturazione” della valutazione suddetta nel nostro gergo corrisponde ai “protocolli di triage”. Questi documenti (è un unico documento che accorpa il comportamento in ragione di decine di modalità principali di presentazione, questo è il motivo del plurale) sono un supporto indispensabile per garantire una valutazione omogenea per le diverse infermiere che si avvicendano al triage e per i diversi pronti soccorso. Un supporto fondamentale perché si basa su uno studio approfondito rispetto a tutte le patologie che si possono associare a un determinato sintomo, “incrociato” con la probabilità che ogni patologia ha di essere minacciosa per la vita o per la sicurezza del paziente. Basti pensare a cosa può rimandare una cefalea (dalla semplice influenza alla emorragia cerebrale) o un dolore toracico (non solo l’infarto cardiaco).
In relazione a quella potenzialità di pericolosità, che viene anche rapportata alla valutazione di alcuni parametri detti “vitali” (pressione arteriosa, la frequenza cardiaca e respiratoria, la percentuale di ossigeno che il sangue trasporta, la temperatura corporea), questi protocolli prevedono i diversi livelli di gravità.
Tutti sanno che i livelli di gravità sono rappresentati con distinti colori che vanno dal bianco al verde ancora al giallo e infine al rosso. E’ praticamente impossibile che un codice rosso arrivi in PS autonomamente (è normalmente l’ambulanza medicalizzata del 118 che esegue questo trasporto), non così per gli altri codici. Il codice rosso non può aspettare e normalmente è visto contestualmente all’arrivo, a mano a mano che la priorità diminuisce, l’attesa per la prima visita dopo il triage probabilisticamente aumenterà in progressione. Certamente in periodi di afflusso maggiore questo periodo tende a dilatarsi anche di molto.

Codici bianchi e verdi
Un discorso particolare va fatto per i codici bianchi ed un altro ancora per i verdi.
Nella codifica “bianco” ricadono quelle presentazioni che non richiedono un trattamento urgente che possono essere diagnosticate e trattate anche in tempi dilazionati possono cioè attendere la visita del proprio medico di medicina generale o del pediatra di libera scelta. La Regione Piemonte ormai molti anni fa ha stabilito che agli accessi in cui il medico alla dimissione conferma il codice bianco corrisponda, per chi non ha diritto all’esenzione, il pagamento di un ticket (sottolineo la differenza tra il codice in entrata che decide l’infermiera in cui è stabilita una priorità di accesso, e quello in uscita da parte del medico in cui è espressa una gravità, quest’ultima non esistente nel caso dei bianchi).
Ancora più rilevante è ragionare sui codici verdi; all’interno di questa classificazione di priorità ricadono tutte quelle presentazioni che non mettono a rischio la vita e neppure un loro aggravamento compromette la sicurezza del paziente, con uno spettro di situazioni che vanno dalla febbricola, al dolore lombare acuto, alla distorsione della caviglia, al corpo estraneo oculare e così via.
La questione è rilevante soprattutto perché sono la stragrande maggioranza dei casi in tutti i tipi di pronto soccorso (partono da un minino attorno al 75% degli accessi per arrivare anche vicino al 90%) e questa situazione comporta che tale preponderante quantità di persone, stando così le cose, verrebbe alla fine visitata per ordine di arrivo.
A siffatto problema nei pronto soccorso dell’Azienda ospedaliera S. Croce di Cuneo e della ASL CN1 si è cercato di ovviare almeno differenziando in ulteriori due fasce di “priorità” quindi con la possibilità di prevedere un’attesa della prima visita minore o maggiore; per sommi capi raggruppando in “verdi 60” (situazioni “un po’ più pressanti”) quelle condizioni che ipoteticamente potrebbero anche peggiorare, pensiamo alle febbri, e in “verdi 90”[1] altre problematiche decisamente più stabili (l’esempio più facile è la distorsione della caviglia qualunque realtà “ortopedica” si sia determinata); il numero richiama, solo indicativamente, i minuti d’attesa. In quest’ordine di situazioni però si concentrano comunque le più lunghe attese che spesso portano a lagnanze più o meno altisonanti. Chi ha già avuto un problema di questo tipo ed ha frequentato il pronto soccorso sa di cosa stiamo parlando.
Nel tempo in cui il paziente attende la prima visita è comunque tenuto sotto controllo e periodicamente rivalutato dall’infermiera addetta al triage con “intensità” variabili a seconda del codice colore.
Il problema del sovraffollamento
Recentemente ha guadagnato gli onori della cronaca il problema dell’affollamento (o meglio sovraffollamento) dei pronto soccorso italiani, non è questa la sede per dilungarsi in tentativi di spiegazioni e ricercare motivazioni intrinseche o/e estrinseche ai PS, preso come dato di fatto è comunque possibile affermare che, grazie alla corretta applicazione dei protocolli di triage, è stato, ed è possibile confinare la dilatazione per periodi di attesa della prima visita del medico ai casi che si presentano come meno gravi riducendo significativamente il rischio per le persone. In realtà proprio nei momenti di sovraffollamento si manifesta l’utilità di queste misure poiché quando i flussi di persone aumentano si accresce anche la possibilità che, mescolata ad una notevole quantità di casi poco gravi si annidi, una “bomba ad orologeria”, l’applicazione costante e per tutte le sintomatologie delle regole del triage tende a smascherare queste situazioni facendole progredire il più velocemente possibile alla prima visita quindi alla possibilità di diagnosticare (e curare adeguatamente) quella malattia potenzialmente minacciosa.
In letteratura scientifica già ci sono dei tentativi di superare questo tipo di metodica di triage, ma sono stati applicati in contesti molto diversi con situazioni di personale (infermieristico e medico) e spaziali significativamente più favorevoli. Continueremo a utilizzate questa metodica ancora per molto tempo.
Giorgio Nova
Direttore DEA Savigliano