Nepal 2015: l’anno del terremoto (9000 morti e 23000 feriti) e del mese di novembre, che ho trascorso in questo bellissimo Paese, cercando di dare il mio aiuto di medico nelle varie circostanze. Annoto ciò che più mi ha colpito e arricchito sul piano umano. Innanzitutto il caos sfrenato quanto inatteso di Kathmandu, con i suoi due milioni di abitanti con le periferie; la Ring’s Road, l’anello tangenziale percorso da ogni tipo di veicolo, la polvere e l’inquinamento atmosferico, il traffico completamente congestionato. Poi la povertà, in cui vive la stragrande maggioranza della popolazione, che si accontenta nel 50% dei casi di circa un dollaro al giorno. Infine la dimensione spirituale, laddove in mezzo a bisogni drammatici (che stanno crescendo per la situazione politico-economica, ormai arrivata a rischio di catastrofe umanitaria, per il blocco di forniture primarie da parte dell’India), la gente si rivolge in Alto, e si aiuta, apparentemente, con meno chiusura che nel nostro mondo infinitamente più ricco materialmente ma senz’altro molto più “freddo”. Più di cento etnie diverse vivono in Nepal. Da un punto di vista religioso, l’80% sono induisti, il 18% buddhisti, 4% musulmani, i cristiani meno dell’1% della popolazione.
Tutto questo insieme fa del Nepal una realtà così “diversa” che si impiega parecchio tempo ad entrare nella dimensione in cui si è arrivati. Anche la luce è diversa, abbacinante, chiara; il cibo, molto speziato, gli odori, anche insopportabili a volte, i vestiti, i cani randagi “adornati” con segni particolari in occasione di alcune feste religiose, le mucche “sacre”, che vagano indisturbate in mezzo al traffico, le scimmie in pieno centro, dispettose, attenti ai morsi!
Gli alberi secolari adorati come divinità, con altari dedicati, da donne che bruciano incensi e spargono polveri colorate… i bambini, in strada, abbandonati a se stessi… e poi la musica, presente ovunque. Anni luce dalla nostra civiltà occidentale. Nel bene e nel male. L’arretratezza economica, industriale, sociale è indubbia, la situazione dei servizi pubblici impressionante: ho visto con i miei occhi persone per strada, moribonde, nella periferia di Kathmandù, senza poter intervenire.


A Kathmandu ho visitato le suore di Madre Teresa e il loro centro per anziani abbandonati, parecchi orfanotrofi, un centro per bambini con malattie mentali a Pokhara, le zone disastrate dal terremoto, a Gorkha. Ho anche conosciuto gente straordinaria, in particolare i gesuiti, che con dedizione, onestà, impegno e gioia aiutano il loro popolo in un momento terribile.
Quanti bambine e bambini, e donne in Nepal sono vittime del traffico di esseri umani, venduti per poche rupie per finire nei bordelli indiani o del Sud Est asiatico, o ancora nei Paesi Arabi?
Cosa possiamo fare noi? Personalmente ho promesso a queste persone di non dimenticarle (sono rimasto in contatto con loro) e di far conoscere il più possibile la loro situazione. Certo il Nepal è anche la bellezza indescrivibile delle valli selvagge e degli 8000, che ho ammirato all’alba da Pokhara, lontani e maestosi. Ma è il popolo che più mi è rimasto nel cuore.
Marco Jona
Medico del 118
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